Nella foto che immortala i ragazzi azzurri nello spogliatoio dopo la meritata vittoria contro la Juventus, lui c’è, anche se in borghese. Kalidou Koulibaly è sempre rimasto al fianco della squadra, nonostante l’infortunio che l’ha costretto ai box, sostenendo i compagni per uscire da quel tunnel in cui il Napoli si è cacciato da novembre scorso, scivolando nella parte destra della classifica e perdendo clamorosamente quattro volte consecutive davanti al proprio pubblico. Ora che le vittorie contro Lazio in Coppa e Juve hanno ridato autostima al gruppo guidato da mister Gattuso, ecco il rientro di uno dei leader riconosciuti, voglioso di farsi perdonare gli errori della prima parte di stagione che pesano come un macigno sulle sue spalle. Resta monitorato dallo staff medico, ma l’infortunio sembra ormai alle spalle. È ora di ripartire. Magari già da lunedì a Genova, contro la Samp. Del resto a lui, le battaglie, non l’hanno mai spaventato. Dentro e fuori dal campo.
Storie di sport – Koulibaly, un rientro importante. Dentro e fuori dal campo
IL RAZZISMO, UN MALE DA COMBATTERE. E NAPOLI… – Koulibaly è, tra i calciatori che più di tanti colleghi parla di razzismo, nel tentativo di combatterlo. “Quegli idioti che urlano ‘buu’ negli stadi non lo farebbero mai davanti a me, in faccia – spiega il senegalese – Tutti dicono che l’Italia è un paese razzista, che gli stranieri non vengono qui per quel che si sente. Ma posso dire che a Napoli non è così, la mia famiglia è stata accolta benissimo e anche i miei amici sono felicissimi di venirmi a trovare. Qui tutti i venditori ambulanti senegalesi si chiamano Koulibaly. Si sentono accettati, sono felici e non hanno problemi”.
GLI ANTEFATTI – Il 2018 del calcio si è chiuso come mai vorremmo raccontare. Un morto fuori dallo stadio San Siro, decine di feriti, centinaia di persone che ululano contro Kalidou solo perché ha la pelle scura, e i cori offensivi che non sono solo insulti alla città di Napoli e al suo popolo, ma odiose forme di intolleranza. Si ha come l’impressione che il calcio, nel nostro Paese, sia come un’anima sorda e sonnambula che cammina nella notte con gli occhi bendati e il cuore algido. Difficile che così si possa trovare una soluzione. Se la vittima e i feriti si possono – forse – depenalizzare, inserendoli nella categoria dei problemi di ordine pubblico, come si può classificare un gruppo nutrito di persone presente allo stadio che compattamente pensa ad insultare i propri avversari con i peggiori (e soliti) stereotipi? Il senso civico (e di aggregazione) di quello che dovrebbe essere alla base di questo sport dov’è? Il male, obtorto collo, esiste e non si può cancellare con il bianchetto. Nessuno può credere di vivere in un mondo in cui regni incontrastato il bene. La differenza, spesso, la fanno le risposte che si danno a certe problematiche. E in Italia, a quanto pare, non si riesce ad essere compatti nemmeno sulle sentenze del giudice sportivo. Il sonnambulismo è ancora presente, stridente come non mai. Ahinoi. Ed è per questo che in copertina, per questo nuovo appuntamento con le storie di sport, abbiamo messo Kalidou. Un ragazzo che merita solo applausi. Un combattente che non abbassa mai la testa, e non per un’ostinata e superficiale dimostrazione di forza, ma per stile di vita.
GLI ESORDI – Nasce nel 1991, da genitori senegalesi, in una cittadina della Lorena, nel quartiere Kellermann. Da piccolo è stato rappresentante di classe, chiese e riuscì ad ottenere porte da calcio per la sua scuola. Sul campo di Kellermann torna a giocare appena ne ha l’opportunità, sinonimo di appartenenza e sensibilità di voler accarezzare le proprie radici prima di ripartire. I suoi amici sono di ogni area geografica, a sua volta Kalidou manda il figlio Vitor avuto dalla compagna Charline alla scuola italiana perché “l’unione tra culture possa essere la soluzione contro il razzismo”. L’umiltà, la timidezza e il rispetto sono i concetti su cui insiste chiunque abbia incrociato Kalidou prima che diventasse uno dei difensori più forti del mondo. Benedetto da Thuram, esaltato da Maradona, il suo arrivo all’ombra del Vesuvio è frutto dell’intuito di Benitez. L’adattamento è complicato, grazie a Sarri e alle sue paternali, Kalidou ha compiuto passi da gigante: a Napoli per tutti è “K2”, mettendo insieme le sue iniziali e l’immagine classica della montagna invalicabile. È l’uomo giusto per dare equilibrio quando la lotta destabilizza un’intera città, il rispetto e l’aplomb non gli sono mai mancati.
Il rispetto e l’educazione al senso civico sono un brain training lungo e paziente, di cui non si è mai sicuri del risultato finale. Tant’è. Continuare ad affermare con assoluta certezza che il razzismo è odioso e fa schifo, continuare a pensare che uno stadio possa essere un luogo dove un ragazzo come Kalidou Koulibaly riceva magari un improperio, niente più, e in più applausi e sostegno per il grande professionista che è. Questa è la nostra speranza per il nuovo anno.
Andrea Fiorentino