Il capo della task force ha concesso un’interessante intervista contenuta sul numero odierno del Corriere della Sera, nel corso della quale ha spiegato, tra le altre cose, per quale motivo è stato scelto di ripartire con grande prudenza.
Coronavirus, Colao: “Testiamo il sistema nella fase 2. Nuove zone rosse, se necessario. App Immuni utile”
“Dal 4 maggio rimettiamo al lavoro quattro milioni e mezzo di italiani, tra costruzioni, manifattura, servizi collegati, ovviamente nel rispetto dei protocolli. Molti sono già partiti lunedì, anche se questo nella comunicazione si è un po’ perso. Ne rimangono due milioni e 700 mila, più la pubblica amministrazione. È una base per poter fare una riapertura progressiva e completa. Sarà un test importante. Dipenderà dai buoni comportamenti. Un’apertura a ondate permette di verificare la robustezza del sistema. Abbiamo raccomandato tre precondizioni che vanno monitorate. La prima: il controllo giornaliero dell’andamento dell’epidemia. La seconda: la tenuta del sistema ospedaliero, non solo le terapie intensive, anche i posti-letto Covid. La terza: la disponibilità di mascherine, gel e altri materiali di protezione. A queste condizioni si può riaprire”.
E se l’epidemia dovesse ripartire? “L’approccio non dovrà essere nazionale e neppure regionale, ma micro-geografico: occorre intervenire il più in fretta possibile, nella zona più piccola possibile. Abbiamo indicato al governo un processo. L’importante è che le misure siano tempestive; nella speranza che non siano necessarie”.
Al momento è stato deciso di non prevedere una ripartenza differenziata tra le varie regioni: “Io ho mezza famiglia a Catanzaro e mezza a Brescia. I numeri dell’epidemia sono molto distanti; nel lungo termine non li si può gestire allo stesso modo. Dovremo rispondere diversamente, per non penalizzare le zone che hanno meno casi. L’importante è che l’Italia si doti di un sistema per condividere le informazioni. La trasparenza sarà fondamentale. Se tanti lombardi e piemontesi vanno in Liguria, ogni Regione guarderà i suoi numeri, ma il ministero della Sanità dovrà guardare alle interrelazioni, per capire se il movimento crea focolai. Lo stesso vale per il corridoio di trasporto tra Lazio e Toscana. I numeri ci diranno quando potremo proseguire con le riaperture, minimizzando il danno economico e massimizzando la sicurezza”.
La App Immuni: “Potrà servire se arriva in fretta, e se la scarica la grande maggioranza degli italiani. È importante lanciarla entro la fine di maggio; se quest’estate l’avremo tutti o quasi, bene, altrimenti servirà a poco. Non è stato scelto il sistema centralizzato, che manteneva l’identità di tutti i contatti. È stata scelta l’altra soluzione, quella Apple-Google. I contatti stanno solo sui telefonini delle persone. Quando scopro di essere contagiato, sono io che metto dentro un codice, che rilascia una serie di codici alle persone con cui sono entrato in contatto. Tutto avviene in modo anonimo: l’individuo viene informato dal sistema, ma il sistema non sa chi sono i due; la privacy dei due individui è mantenuta. Nessuno conosce l’altro. Il sistema sanitario locale potrà disegnare l’App in modo da contattare i cittadini, ma in trasparenza”.
Vittorio Colao smentisce categoricamente chi ha scritto che avesse intenzione di prendere in futuro il posto di premier Conte: “Non ho nessuna intenzione di fare politica. Mi è stato chiesto di aiutare a gestire una fase complicata, con un gruppo di persone esperte di diverse materie. Mi ha chiamato il Presidente Conte. Stavo passeggiando in giardino, qui a Londra si può. Ho chiesto due ore per avvisare la General Atlantic, cui dedicavo metà del mio tempo, e le altre società cui collaboravo. Mi hanno risposto: of course, naturalmente puoi e devi fare qualcosa per il tuo Paese. Alla fine tornerò al mio lavoro. Molti manager l’hanno fatto, in molti Paesi; solo in Italia si pensa che vogliano fare politica. Sono state scritte anche altre inesattezze”.
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