“Di solito lo seguo sempre, ma a Torino (contro la Juve il suo Sassuolo ha vinto 1-2, ndr) non c’ero ed è andata bene. Per scaramanzia ho evitato pure San Siro (contro il Milan, 1-3 per i neroverdi, ndr). Ho organizzato un pranzo a casa insieme a otto amici. Un antipasto con prosciutto e pecorino, pici cacio e pepe come primo e infine lo stinco con le patate. Poi una bella bevuta e via, tutti sul divano”. Così Luca Dionisi, papà di Alessio, tecnico che dalle parti di Sassuolo non sta facendo rimpiangere il mago De Zerbi e che, da Empoli, sta trascinando i suoi con vittorie inaspettate e dal blasone importante. Domani al Mapei arriva il Napoli capolista…
Sassuolo, Dionisi, il papà: “Orgoglioso di mio figlio, anche se è un matto. Sono stato il primo a marcare Maradona…”
“Mio figlio ha iniziato ad allenare nel 2014 in Serie D, all’Olginatese, aveva 34 anni e lo rimproverai: Ma che sei matto? Gioca finché puoi. Vuoi fare il precario a vita? Anche io ho allenato fino all’Eccellenza e sapevo quanto fosse difficile farlo nelle serie minori. Tanti esoneri, spesso non ti pagano. Ma lui insisteva: Babbo, voglio farlo. Me lo sento dentro. – Se sei contento così… gli dissi. Mai lo avrei immaginato dove è ora”. Luca Dionisi ai microfoni di Gianluca Di Marzio racconta il percorso del figlio che tanto bene sta facendo anche al suo esordio in A: “Su quale panchina lo vorrei vedere? Non penso mai al futuro. Non lo faccio da quando è morta mia moglie. Ci ha salutato dopo aver lottato contro il cancro. Abbiamo sofferto tanto, ora guardo la vita in maniera diversa. Prima guidavo un’azienda importante e ragionavo sempre sul domani. Adesso vivo alla giornata, godendomi le persone a cui voglio bene. Perché so che oggi ci sono. Domani chissà…”. Il papà di Alessio poi racconta un po’ di sé, regalando un aneddoto di un certo valore: “Giocavo nella Neania Castel del Piano, ogni estate sul Monte Amiata venivano in ritiro le grandi della Serie A e noi le affrontavamo in amichevole. Dal Cagliari di Fonseca all’Inter. Dalla Lazio di Laudrup al primo Napoli di Maradona. Perdemmo 13 a 1, da terzino dovevo marcare Diego che ovviamente ne fece 4: Ma che ci fai in prima categoria? mi chiese comunque a fine partita. Non me la cavavo male, non buttavo mai via la palla, la giocavo sempre. Ero un difensore moderno. In risposta presi un pennarello e mi feci autografare il braccio. Non me lo lavai per due settimane”, sorride. In tribuna c’era anche il figlio Alessio insieme alla madre: “Aveva quattro anni. Il primo regalo che gli feci fu un paio di scarpe da calcio, gliele avevo promesse. Non se le tolse mai, per tre giorni e per tre notti. Quando finalmente lo convinsi, aveva i piedi pieni di vesciche” Una chiosa sulla gara di domani contro i partenopei: “Se con il Napoli sarò allo stadio? Beh, non saprei. Alla fine non c’è due senza tre…”
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