Ridurre il calcio a un fatto meramente individuale è sempre sbagliato. Si vince e si perde con il collettivo. Certo, però, quando vedi Lautaro entrare in campo e fare 4 gol, Leao sgasare sulla sinistra e decidere una partita, Kvara in versione scorsa stagione, Osimhen partire dalla panchina per poi lasciare il segno e un Luis Alberto irriconoscibile contribuire ad accompagnare la Lazio nel baratro, ti viene il sospetto che l’Italia che torna in Champions possa ripartire dalle certezze, o dalle mancanze, dei singoli. Lo riporta Sportmediaset
Serie A, le big andranno in Champions col sorriso: ma la Lazio…
Inzaghi, nell’eterna tentazione di un turnover inevitabile quando si parla di una rosa così vasta e di qualità, ha una certezza in più: le rotazioni possono valere per tutti tranne che per Lautaro. Poi mettere Pavard, far riposare Bastoni e Dimarco, provare Klaassen, ancora un po’ spaesato, da mezzala, schierare Carlos Augusto titolare a sinistra. Ma non puoi rinunciare all’argentino. Il record dei quattro gol da subentrato dice tanto (soprattutto il fatto che per sbloccare la partita ci sia bisogno di lui..) ma è l’istintiva e collaudata (anche se giocano insieme da poco più di un mese) con Thuram a rendere letale l’Inter in zona-gol. Sanchez prova a venire incontro, liberare spazi, cercare di servire i compagni ma la luce si accende quando entra Lautaro. Thuram sa come servirlo e dove. Vedere alla voce primo gol. Il Benfica avrà preso appunti con una certa apprensione.
Il Milan, che Sacchi paragona al suo magari esagerando un po’, non vincerà perché ha un giocatore che fa i 35 all’ora come ha detto Sarri ma, di certo, è lui l’uomo in più, quello che rompe le partite. Leao è fondamentale nel creare superiorità numerica ed esaltare il collettivo. I due gol rossoneri sono simili, ottimo mix tra socialismo calcistico e iniziativa privata. Pulisic e Okafor sfruttano il lavoro del portoghese ma anche di chi “allunga” la difesa laziale per liberare lo spazio in mezzo all’area. Pioli non avrà la rosa di Inzaghi ma sa arrangiarsi bene. Adli, anche se poco intraprendente, come ha detto il suo allenatore, il regista può farlo, così come Reijnders, che lo ha sostituito nel ruolo. Musah sa interpretare la funzione di mezzala, sostituendo Loftus-Cheek (da valutare le sue condizioni dopo l’infortunio muscolare all’addome). Il viaggio verso l’inferno di Dortmund, insomma, fa meno paura.
Chi inizia ad averla, la paura, invece, è la Lazio. Sette punti in sette partite sono davvero pochi. La parola crisi non è eccessiva e, anche se Sarri dice che la Champions è un lusso, l’appuntamento del Celtic Park può davvero inguaiare seriamente i biancocelesti anche in Europa. Certo, il primo tempo di San Siro è stato convincente ma la Lazio di quest’anno sembra avere perso le certezze difensive della scorsa stagione. Il pressing scatta spesso a vuoto e, per una squadra che fa fatica a difendere in posizione, non è un difetto da poco. Soprattutto quando latita il suo giocatore più importante, Luis Alberto.
E poi c’è chi deve affrontare nientemeno che il Real Madrid. Le ultime prestazioni, però, allontanano le preoccupazioni che stavano aleggiando in modo inquietante sulla testa di Garcia. Quattro gol a una delle sorprese del campionato, il Lecce, oltretutto in trasferta, allontanano le ombre del mantra “si però con Spalletti era un’altra cosa”.
Il caso Osimhen resterà a lungo a turbare l’ambiente ma finché, anche rispettando il turnover, entra, segna ed è sempre pericoloso, il problema non si pone. Anche il tanto criticato Kvara sembra tornato quello dei bei tempi (che poi risalgono solo a qualche mese fa). Il Napoli, insomma, non se n’era mai andato, doveva semplicemente trovare il giusto mix tra l’ingombrante impronta spallettiana e i nuovi codici di Garcia. E, a parte un Lobotka ancora lontano dall’essere il fulcro della manovra e qualche elemento nuovo ancora poco sintonizzato sulle frequenze della squadra (vedi alla voce Lindstrom), i campioni d’Italia sembrano essere tornati.
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