Il sondaggio realizzato da SWG dipinge un quadro molto confuso e contradditorio del rapporto tra tifo, insulti e razzismo negli stadi italiani. L’81% degli intervistati pensa che i comportamenti offensivi siano da stigmatizzare ma, tra gli abituali frequentatori di arene e palazzetti, il 60% ritiene le offese – razziste e non – siano un aspetto “normale” del tifo.
Razzismo negli stadi, secondo un sondaggio (e la maggioranza) “fa parte del tifo, è normale”
Il caso Maignan e la sua lunga coda di strascichi hanno riacceso una questione mai risolta o sopita, specialmente nello sport di oggi: qual è il rapporto fra tifo, insulti e razzismo nei palazzetti e negli stadi italiani? Risposta: molto, ma molto confuso, riporta Eurosport.
Secondo un sondaggio realizzato da SWG (campione di 800 persone maggiorenni), la grande maggioranza degli italiani ritiene ormai necessario eliminare dal contesto sportivo qualsiasi comportamento di tipo offensivo.
L’81% degli intervistati, infatti, sostiene che “andare allo stadio/palazzetto dovrebbe essere un momento di divertimento e di relax per tutti, e dovrebbero essere evitati i comportamenti offensivi”.
Sul piatto opposto della bilancia, però, il 12% dei partecipanti al sondaggio ritiene che “tifare sia un modo per sfogare lo stress della vita quotidiana, per cui sia normale lasciarsi andare”, mentre l’8% pensa che lo stadio/palazzetto sia “un luogo dove tutto è concesso, ed è giusto che i tifosi vadano alle partite con intensità e si lascino andare”.
Ma la situazione si ribalta quando si esamina la porzione del campione che dichiara di seguire abitualmente eventi sportivi al palazzetto o allo stadio. Perché il 72% pensa che sia giusto “insultare la propria squadra/il proprio campione se perde o gioca male”.
Il 57% è favorevole a “intimidire l’avversario con urla e cori”. Il 60% a insultare gli arbitri. Il 36% a utilizzare fumogeni e petardi. Il 16% a cercare lo scontro fisico con i tifosi avversari.
Scendendo sempre più nel dettaglio, si scopre che gli insulti razziali sono considerati “normali”, come “elemento del tifo” da quasi un italiano su cinque. Per il 18% degli intervistati è lecito insultare un giocatore “per la sua nazionalità o le sue origini etniche”, ma anche chiamarlo “zingaro o ebreo”, mentre per il 16% è consentito “fare il verso della scimmia o lanciare banane ai giocatori di colore”.
E i giocatori? Il quadro generale descritto all’inizio, con quel confortante 81% di intervistati che considera stadi e palazzetti come luoghi di relax e divertimento senza spazio per gli insulti razziali e non, risulta quindi essere in gran parte di facciata. Non sostenuto dai reali comportamenti di chi assiste abitualmente agli eventi sportivi. Ed è anche molto confusionario, se non contraddittorio, ciò che emerge nella valutazione delle reazioni dei giocatori agli insulti stessi.
Per il 74%, infatti, i giocatori “dovrebbero sfruttare queste occasioni per sensibilizzare il pubblico su questi temi” ma, per il 73%, “sono un esempio per i giovani e devono sapersi controllare”. Se per il 63%, i giocatori “sono persone, prima di tutto, quindi è normale che reagiscano alle offese”, c’è un 22% che ritiene che siano “figure pubbliche pagate per intrattenere, quindi chiamate a sopportare qualsiasi cosa”.
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