Il primo marzo don Andrés Iniesta ha tagliato il traguardo delle 1.000 partite da pro. Il piccolo mago del Barça di Guardiola e della Spagna che ha dominato il mondo gioca ancora, nell’Emirates di Rās al-Khaymah allenato da un paio di mesi da Walter Zenga. In maggio compie 40 anni, si appresta a cambiare vita. L’intervista è riportata dalla Gazzetta dello sport.
Ex Barcellona, Iniesta: “Sarà difficile contro questo Napoli migliorato. Spero in un ambiente stile Camp Nou”
“Il Napoli? Un avversario che non ho mai affrontato in una partita ufficiale, curioso. È una sfida complicata, aperta, difficile indicare un favorito. All’andata il Barça ha fatto bene, ma non ha vinto. E il Napoli in queste tre settimane è migliorato, ha avuto sensazioni più positive legate al cambio di allenatore mentre Xavi ha perso due importanti come Pedri e De Jong. Ora gioca in casa e la cosa a mio avviso pesa, anche se Montjuic non è il Camp Nou, questo è evidente”.
I due club hanno vissuto mesi simili.
“Sì, entrambi campioni nei rispettivi campionati, e in difficoltà. Ho fiducia nel passaggio del Barça ma non sarà facile perché il contesto è particolare, un’eventuale eliminazione sarebbe pesantissima e la cosa non aiuta, la pressione è grande”.
Montjuic ai tifosi del Barça non piace.
“Ho visto. Non so da cosa dipenda: geografia, clima, abitudine, ma è un aspetto che complica le cose per il Barça. Spero che col Napoli si ricrei magicamente un ambiente simile a quello del Camp Nou”.
Xavi soffre e ha già dato le dimissioni per giugno.
“Soffro con lui. Come tifoso e come amico. Perché so quanto ci teneva ad allenare il Barça e quanto ha a cuore questo club. Ci ha messo una passione incredibile e nessuno più di lui vuole che le cose vadano bene. E non per se stesso o per gloria personale, ma per il club che ama. È evidente che se ha deciso di dare le dimissioni è solo per il bene del Barça”.
A lei piacerebbe allenarlo?
“Idealmente sì, ma è qualcosa di molto lontano. Sto ancora giocando e non ho nemmeno il patentino. Lo prenderò, così come quello da d.s., poi si vedrà”.
Lei e Xavi siete stati “canteranos”. Come vede il peso che hanno al momento Lamine Yamal, 16 anni, e Pau Cubarsí, 17?
“Per un verso è eccezionale che ragazzi così giovani arrivino in prima squadra e giochino tanto bene. Dall’altro penso che queste cose sono sempre figlie di un contesto puntuale. Io iniziai a giocare e la mia presenza mandava in panchina Riquelme. La squadra era in crisi, Van Gaal cercava soluzioni e la cantera del Barça le ha sempre offerte. Oggi è una situazione simile. In mezzo c’è l’esempio di Guardiola, che diede fiducia a Pedro e Busquets inserendoli però in un contesto più positivo, non legato a necessità pressanti. Rovescio della medaglia: non penso che giocatori tanto giovani debbano tirare un carro tanto impegnativo come quello del Barça. E poi bisogna fare attenzione: quando è esploso Pedri gli hanno fatto fare il record di partite stagionali tra Liga, Europeo e Olimpiadi. E ha iniziato a farsi male. È molto difficile gestire queste cose tra la necessità di una squadra e la voglia di un ragazzo”.
Champions: il City di Guardiola è il favorito?
“Per il modo di giocare, per come intendono il calcio, per ciò che trasmettono, per Pep e la rosa”.
A chi sostiene che vince per i milioni che spende cosa dice?
“È chiaro che come in un buon ristorante la materia prima aiuta, ma poi la devi saper cucinare. Chi lo conosce e ha lavorato con lui sa che è diverso da tutti. È il migliore? Posso solo dire che come allenatore è uno spettacolo, qualcosa di molto speciale”.
E Luis Enrique?
“La persona giusta per gestire l’addio di Mbappé: nulla lo sorprende, è un tipo chiaro che sa ciò che vuole e ciò che è meglio per il gruppo. Le sue decisioni vanno sempre in quella direzione”.
Chiudiamo con Ancelotti.
“Poco da dire: la sua vita parla per lui. Come giocatore e tecnico. Avere la capacità di allenare due volte il Real trionfando in entrambe le occasioni, tornando in un club di quelle dimensioni e farlo funzionare di nuovo non è facile: merito incredibile”.
Mille partite. La migliore?
“La prima, il debutto col Bruges nell’ottobre 2002. Da bambino sognavo di essere calciatore, quella sera il sogno si è avverato. Poi difficile scegliere, sono stato fortunato, ho vinto tanto e le gare memorabili sono molte. Però la cosa più importante in questi 22 anni è che la mia essenza è rimasta la stessa. Mi è sempre piaciuto riguardare le mie partite perché mi vedevo ripetere su scala mondiale ciò che facevo da bambino sui campi in terra. Amo troppo il calcio, per questo continuo a giocare”.
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