Luciano Spalletti, ex allenatore del Napoli campione d’Italia, ora c.t. della nazionale italiana, ha rilasciato un’intervista al Corriere dello Sport.
Napoli, Spalletti: “Dopo il primo anno i miei collaboratori mi dissero di andare via! Dialogo con De Laurentiis? Dipende quale dei tanti…”
“Io la tristezza l’ho scelta e abbracciata lasciando Napoli dopo quella cosa là. Sarebbe stato più facile e naturale andare avanti, lavorare con un gruppo che avevamo portato al top, godersi la felicità del momento, quella fatta provare alla gente di Napoli. Ho scelto la tristezza. In fondo a me è riuscito spesso di centrare l’obiettivo e quando lo centro vorrei tanto dare le spalle al mio divano, lasciarmi cadere all’indietro e fermarmi a guardare l’infinito, assaporando la felicità di chi ho reso felice”.
Oggi più che mai, in una fase del nostro calcio in cui le difficoltà economiche e le emergenze sono addirittura feroci, la vittoria assume un’importanza doppia. Non la si misura più sul piano sportivo, ma in milioni.
“Io sono fortunato perché ho sempre ottenuto quello che meritavo. Poi, certo, c’è anche chi ha culo. Talvolta il risultato dipende dalle capacità non solo tecniche di un calciatore, dal singolo episodio. A Napoli ci siamo sempre presi quello che avevamo costruito e meritato”.
Il culo sistematico non esiste. Roba da fumetti, da Gastone di Disney.
“Ma esiste il culo con la kappa. Domenica scorsa il Napoli avrebbe meritato di vincere e non ha vinto. Sono sfumature che ti fanno ripensare al comportamento tenuto”.
Poi me la spieghi.
“Io non so allenare il cinismo. Allenare per me significa voler bene al calciatore, saperlo difendere, aggiungergli qualcosa. Esiste il calciatore timido che non riesce a esprimere totalmente il proprio potenziale e allora intervengo con il lavoro. Al Napoli ne avevo un paio. Ma adesso appoggia la penna”.
Agli ordini.
“Con l’esercizio cerco di portare il timido nella condizione ideale per alzare il livello del rendimento. Non riesco a fare niente in superficie. Il primo anno a Napoli vivevo in albergo, magnifico, mi portavano la colazione in camera. Poi ho piazzato il lettino nell’ufficio. Per non perdere un solo secondo, anche il più piccolo particolare, mi risparmiavo la mezz’ora di auto da Napoli a Castel Volturno”.
Hai mai subìto una decisione?
“Ho sempre deciso per me stesso. Il mestiere vuol dire 365 giorni di grande lavoro. Dopo il primo anno i miei collaboratori mi dissero “ma cosa restiamo a fare? Hanno venduto tutti”. Erano partiti Mertens, Koulibaly, Ghoulam, Ospina, Insigne, Fabian Ruiz. Tanta qualità. Io volevo sentirmi l’allenatore del Napoli e si è allenatori di una squadra soltanto se si fa qualcosa di effettivamente importante. Quando incontri De Laurentiis la prima cosa che ti dice è “secondi siamo già arrivati e dobbiamo stare sempre in Champions”. Messaggio chiaro e diretto. Così sono ripartito per ottenere quella cosa là, è successo, sarei potuto restare ancora, il grafico prestazionale l’avevamo portato al livello più alto”.
Che discorsi ha avuto con De Laurentiis?
“Io ho due orecchie e una bocca. So ascoltare e al momento giusto parlare. De Laurentiis ha una grande dote comunicativa, un linguaggio scorrevole. E poi dipende sempre dal De Laurentiis che ti ritrovi di fronte, ne esistono almeno quattro o cinque. Con l’intelligenza artificiale potrebbero provare a inventarne altri”.
Ha già deciso chi convocare agli Europei?
“Per Euro2024 convoco Baggio, Totti, Antognoni e Del Piero. Ne ho già parlato con Gravina. Con questi fenomeni a bordo campo i ragazzi si caricherebbero, cercando di andare oltre i propri limiti…”.
Torniamo a Gravina, c’è chi dice che ti avesse contattato molto prima di metà agosto?
“Chi racconta una fesseria del genere dimentica che fu Mancini a rassegnare le dimissioni e le diede all’improvviso. Incontrai il presidente per la prima volta nei giorni seguenti e posso dire di averlo visto in grande difficoltà”.
Carlo Gioia
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