Dalla sua lunga storia al Milan al presente e allo scudetto conquistato dall’Inter. Paolo Maldini è stato ospite di Radio Serie A e ha parlato in una lunga intervista toccando vari temi.
Maldini: “Non mi vedrei in nessun’altra squadra. Napoli? Fallimento annunciato…”
“Cos’è per me il Milan? Era qualcosa presente da prima che io nascessi, mio papà è stato calciatore del Milan. È la squadra della mia città, l’ambiente dove sono cresciuto. Ho iniziato a giocarci a dieci anni e ho smesso a quarantuno, va al di là del tifo o del lavoro: è estrema passione. Il rapporto che c’è va oltre le ere in cui sono passato attraverso questa grande società. Ogni squadra può far sì che il tifoso rivendichi qualcosa di particolare, noi milanisti abbiamo un passato glorioso con delle cadute, ma alla fine è più facile che i tifosi ricordino i momenti brutti per poi tornare a quelli belli: noi in questo siamo stati maestri, i rimbalzi del Milan negli anni sono stati clamorosi”.
Maldini ha ripercorso tutta la sua storia. Il provino, l’esordio, la fascia da capitano e poi l’esperienza da dirigente. “Ho capito di voler fare il dirigente quando mi hanno chiamato, non sempre hai ben chiaro quello che vuoi fare, ma ho provato a capire quello che non avrei voluto fare. Non volevo fare l’allenatore, non volevo lavorare in televisione. Quando è arrivata l’opportunità ho analizzato bene la cosa, con Leonardo ho trovato una persona con i miei stessi principi e ideali, si parla sempre di lavoro di squadra all’interno di un club. Ho scelto di fare il dirigente in primis perché era il Milan, poi nei trentuno anni di esperienza ho avuto cose da raccontare e insegnare. Poi c’è il lavoro in sé, che è tutt’altro rispetto a ciò che ci si aspetta. Milan, Nazionale o niente? È una regola che vale soprattutto per l’Italia, non riuscirei mai a vedermi in un club diverso dal Milan”.
“PSG? Non ho mai detto di no, prima del Milan sono stato tre volte a Parigi e avevo dato la mia disponibilità, poi la cosa non è andata avanti; pensandoci adesso è stato un bene, sarei entrato in una società ancora in grande evoluzione, in un paese che non conoscevo, con una lingua che non conoscevo. I miei primi dieci mesi da dirigente sono stati di apprendimento, mi sentivo inadeguato, stavo imparando e non riuscivo a determinare qualcosa. Leonardo rideva, mi diceva che mi sarei reso conto pian piano del mio impatto. È stata una fortuna iniziare a lavorare con lui. Se vado allo stadio a vedere il Milan? No, non vado più, è logico. Lo seguo insieme a Monza ed Empoli dove giocano i miei figli. Ho creato tanti rapporti, è una questione di relazioni. Quello che abbiamo creato non è stata solo una squadra vincente, ma anche tante relazioni con i giocatori. Ne sono arrivati circa trentacinque nel corso dei cinque anni, con ognuno di loro si è creato un rapporto speciale. Quando vedo la fascia sinistra del Milan è sinceramente uno spettacolo”.
Parole al miele per Silvio Berlusconi. “Ha portato un’idea moderna e visionaria del calcio e del mondo in generale. Ricordo il primo discorso, eravamo in una sala a pranzo a Milanello e ci disse che voleva vederci giocare il miglior calcio del mondo, giocando allo stesso modo sia in casa che fuori. Era convinto che saremmo diventati presto campioni del mondo, arrivò a stagione in corso, ma dall’anno dopo cambiò tutto: palestra, alimentazione, Milanello, allenatore diverso e nuovi preparatori atletici. Era tutta farina del suo sacco. Rapporto deteriorato con Silvio Berlusconi? No, sono diventato amico di Piersilvio e sono stato ad Arcore tante volte come suo amico. Il Presidente mi ha sempre detto: “Sono un tuo secondo padre” e così è sempre stato. Berlusconi ha fatto tanto, la sua impronta è ovunque”.
Maldini ha parlato anche dell’Inter campione d’Italia. “È molto indicativo quello che è successo. L’Inter ha una struttura sportiva che determina il futuro dell’area sportiva. È stata gratificata con contratti a lunga scadenza, c’è stata un’idea di strategia. Non è un caso che il Napoli sia andato male dopo gli addii di allenatore e direttore sportivo. Si dà poca importanza alla gestione del gruppo, a volte si considerano i giocatori come macchine che devono produrre qualcosa, ma per farlo servono persone che li aiutino a farlo. Il supporto ai calciatori credo che sia ancora qualcosa di inespresso nel calcio sia in Italia sia a livello mondiale, ci si dimentica che sono ragazzi giovani che hanno bisogno di supporto e di qualcuno che dica loro le cose come stanno, non sempre è facile arrivare a parlarne con loro”.
Se vuoi sapere di più sul Napoli, tieniti aggiornato con www.gonfialarete.com