L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” ha analizzato la situazione in casa Napoli, soffermandosi sul reparto difensivo.
Gazzetta – Napoli, il nuovo muro di Conte: Di Lorenzo-Rrahmani-Buongiorno come la BBC
Nome: Antonio. Cognome: Conte. Ruolo: Ministro della Difesa. Da Torino (bianconera, ovviamente) a Milano (nerazzurra, ci mancherebbe), dal 2011 al 2014 e poi dal 2019 al 2021, da un mondo all’altro, in quel calcio e in quegli scudetti c’è un’idea che sembra un marchio di fabbrica, un copyright o un modello d’ispirazione: 20 gol subiti nella sua prima stagione con Madame, quando c’erano già i magnifici tre Barzagli, Bonucci e Chiellini, 24 nella seconda e 23 nella terza, tanto per ribadire il concetto — a volte discusso — che vince chi subisce meno. E per non deludere se stesso, per non stracciare principi codificati, 36 reti con l’Inter arrivata seconda e 35 nell’anno del trionfo. Mica numeri, certezze.
Il Napoli sta cercando di sottolineare la tendenza del modello-Conte e Verona è l’eccezione che conferma la regola, una domenica d’agosto d’insospettabile “follia”, una quarantina di minuti in cui il copione diventa carta straccia e finisce per diventare il segnalibro di questo campionato: 3 reti in sequenza, un tracollo inaspettato, una linea (difensiva) che viene travolta anche da se stessa e finisce per alimentare dubbi. Ma il calcio l’ha inventato forse pure il diavolo: da quella giornata torrida, hanno segnato a Meret e Caprile solo in due — Bonny su rigore e Strefezza dal limite area — e la natura di un allenatore che ama evitare sollecitazioni alle coronarie s’è riprodotta in un nano secondo.
Dalla BBC della Vecchia Signora a Di Lorenzo-Rrahmani-Buongiorno in realtà non è un attimo, però le affinità si scorgono e il Napoli ha smesso di soffrire: l’ha fatto con il Parma; a Cagliari ha avuto bisogno di un Meret sovrannaturale, ma sostanzialmente è cambiata la squadra, attraverso ritocchini divenuti necessari e poi indispensabili per calarsi in una parte nuova.
Conte a Torino, contro la Juve, si è messo a quattro, ha riempito il centrocampo (ma anche l’attacco) con McTominay, ha inseguito e trovato gli equilibri smarriti in quella prima di campionato con una squadra in fase di costruzione, poi si è industriato, ha rimescolato la propria filosofia, l’ha adattata, ha finto di restare con quel nuovo smoking (4-3-3 che fa tanto fashion), in realtà ha corretto l’interpretazione, chiedendo sacrifici nelle coperture a Politano e a Di Lorenzo di scivolare dentro al campo, davanti all’area.
E così il Napoli ha espresso, e in maniera rassicurante, la sua personalità, ha scoperto gli effetti benefici della presenza di Buongiorno, in versione leader, e ha riabbracciato Rrahmani in versione scudetto: in quattro partite su sette giocate, Conte è uscito soddisfatto, gratificato dalle prestazioni di una squadra che ha cominciato ad assomigliargli o che comunque ne raffigurava l’espressione di calcio.
Il “maniaco” Antonio Conte, un uomo senza orologio e quindi senza tempo e né fretta, ha un organico che riflette le proprie filosofie e per abbassare la saracinesca o alzare una diga che protegga la difesa, c’è un lavoro oscuro che appartiene a Cristian Stellini e a Gianluca Conte, due anime di uno staff che a Castel Volturno ha messo le tende e pure i lucchetti, affinché non sfugga via neanche un frame di tutto quello che viene ripetuto durante le sedute degli allenamenti, che rientrano in un cliché collaudato: situazioni da prevedere dopo l’analisi degli avversari, movimenti che vengono memorizzati attraverso le ripetizioni e preventive che non devono mai tradire.
Conte è amabilmente ossessionato dal campo, lo percorre in lungo e in largo, lo scruta dalla sua panchina, ci entra e ci esce per indirizzare la linea, tenerla “corta”, evitando che si creino spazi fatali per le imbucate altrui, invoca le distanze che rappresentano i pilastri fondanti per ripartire, per occupare poi la trequarti avversaria, andarla a riempire non solo con Lukaku ma con gli esterni che sostengono la fase attiva e con McTominay che affianca il suo Big Rom.
Verona è una clamorosa “bugia” di questo bimestre, un incidente (un accidente) di percorso che Conte ha usato per sterzare, per incidere ulteriormente sulla psicologia del Napoli che ha esaltato Lukaku, mai parsimonioso d’elogi per un allenatore che è riferimento: “Il suo sistema si adatta perfettamente al mio modo di giocare. Non è vero, come afferma qualcuno, che io tengo troppo il pallone; semmai è vero che lo sfrutto per scaricarlo e poi attaccare lo spazio, assieme agli altri. Conte punta a creare una specie di partnership tra i calciatori, accadeva a me all’Inter con Lautaro e succede adesso qua al Napoli con Kvaratskhelia e con McTominay.
Carlo Gioia
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