Se glielo chiedi, nega: “Nessuno mi ha mai cercato”. Non c’è verso, scrive il collega Dotto sulla rosea. Si farebbe strangolare con un cappio di spine piuttosto che ammetterlo. Alza il ponte levatoio. La realtà è un’altra, esattamente opposta, e gli operatori di mercato lo sanno bene. Lo cercano in tanti. Flauti e sirene. Blandizie da ogni angolo del mondo.
Spalletti: “Nessuno mi ha mai cercato. Però a gennaio…”
Gli arabi lo vorrebbero anche subito. Sono pronti a fargli ponti d’oro, l’Al Ahli, ma non solo. Club italiani e inglesi hanno fatto sondaggi. Spalletti, ascolta, tace, rumina. E s’interroga. Volete farlo incazzare di brutto? Parlategli di “anno sabbatico”. Mai detta ‘sta roba del “sabbatico”. Lui vuole solo capire.
Continua a propinare la balla atomica dell’aver lasciato per troppo amore, la Corazzata Potemkin dei giorni nostri per dirla alla Fantozzi (“Luciano ha abbandonato qualcuno e qualcosa che non ci pensava proprio di abbandonarlo. Ha abbandonato un amore per “eccesso di amore”. E di stress. Che, in certi casi, coincide con l’amore”). E ora s’interroga. Sta esplorando la sua testa complicata. Che, al confronto, la mappa del Botswana è un gioco da poppanti. Ha chiuso con il suo passato, ma Napoli e i napoletani non saranno mai il suo passato. Ha chiuso piuttosto, e risolto consensualmente, i rapporti con un presidente con cui non c’è mai stato feeling e non poteva esserci, considerando i caratteri e i ruoli. Ora Spalletti deve fare i conti con il peso di un addio. Una storia troncata sul più bello, si sa, attizza il fuoco, non lo spegne.
La fame di pallone comincia a intrufolarsi subdola nel suo bunker spinoso. Si fa largo un tenue accenno d’infelicità. Se l’infelicità di tenersi lontano dallo stress diventerà più forte dello stress stesso, Spalletti agirà di conseguenza, senza far torto a nessuno, meno che mai a se stesso. Alla faccia dei “sabbatici”. Lui fa di tutto per darsi una normalità, ma la normalità di Spalletti è una camera di tortura. Una sezione di Guantanamo. Dove lui è, allo stesso tempo, il torturato e il torturatore. La sua condanna? Prendere tutto inesorabilmente sul serio. Che si tratti di scegliere un vino da bere, una scarpa da indossare o una parola da dire. Per il resto, di questi tempi, si svaga con poco.
Quando sta in famiglia e con gli amici storici, le galline del Cioni, una funambolica banda di geniacci pronti a tutto, dal turpiloquio più greve al gesto d’amicizia più lirico. A proposito di amici. L’hanno visto sorridere di gusto l’ultima volta, Spalletti, quando gli hanno scaricato nella tenuta di Montaione le due mucche che gli ha regalato l’amico di sempre Lucio Presta. Luciano che, tra le tante fisime, odia sentirsi in debito con chiunque, amici inclusi, gli ha regalato in cambio due capre. Pari e patta. E tutti (moderatamente) felici, conclude Gazzetta.
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