Anche La Stampa dedica un articolo a Federico Gatti, uomo copertina di questa Juve operaia e autore del gol decisivo contro il Napoli.
Juventus, Gatti: “Sono stato povero? Sì, ma non inchiodatemi al passato”
Il difensore goleador (due gol che valgono 6 punti in meno di 53 minuti, tra Monza e Napoli) nella stagione 2020-21 gioca in Serie C, nella Pro Patria, che lo aveva pescato in estate dalla D: sembrava già una storia incredibile, la sua, per il fatto che fino a un paio di anni prima il calciatore si arrabattava tra i dilettanti di Promozione ed Eccellenza.
Calciatore operaio. Un’etichetta che trasuda orgoglio eppure può diventare prigione. Anche nel day after di Juventus-Napoli, da La Nacion al sito artigianale, la celebrazione di Federico Gatti tracima nella retorica del riscatto, fruga nell’altra vita dove il calcio era hobby e il lavoro fatto di levatacce e cantieri.
È ora di andare oltre, il difensore della Juventus è altro, e la recente, garbata ribellione di Victor Osimhen, appena sconfitto all’Allianz Stadium, può diventare anche il suo manifesto: “Sono stato un bambino povero? Sì, ma ora sono qualcosa di più. Altrimenti mi inchiodate a un passato che non rinnego, ma che non tiene conto di come sono andato avanti”.
Federico non ha avuto un’infanzia difficile, più semplicemente ha conosciuto il sacrificio.
Gatti si inserisce nel solco, ha tanti margini di crescita e lo sa benissimo, però ha già conquistato il tifo perché non si risparmia, perché ci crede, perché lotta e non s’abbatte mai. Quando firmò il suo primo contratto professionistico – 2020, Serie C, Pro Patria – ringraziò anche chi non aveva creduto in lui giudicando le bocciature spinte e dopo l’autogol da Gialappa’s con il Sassuolo è rimasto in piedi e non era facile, certo che un errore isolato non potesse offuscare doti già svelate.
Il giorno dopo, con Massimiliano Allegri, rividero insieme l’intera partita, focalizzando le imperfezioni e rilanciando la sfida. C’è un legame forte, tra i due, e l’abbraccio nello spogliatoio è testimone: non dipende solo dalla fiducia accordata fin dal primo allenamento, ma da un’alchimia legata proprio allo spirito operaio. Perché l’allenatore, pur abituato a gestire fenomeni, ha sempre considerato valori aggiunti la ferocia, la capacità di soffrire, l’anima provinciale che è complimento e non diminutio. Ebbene, Gatti incarna questo spirito.
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