Ai microfoni del Corriere dello Sport, Walter Mazzarri racconta la sua nuova vita in Inghilterra: “Non molto diversa da quella di Napoli o di Milano. Cambia solo il clima, in modo repentino anche: da una giornata bellissima, si passa alla pioggia in un attimo. Siamo sempre bagnati, qui”.
A che punto è la sua carriera?
“Dopo l’Inter mi sono fermato per riflettere, per capire e ripartire. Non penso mai allo stato della carriera, non posso dire se Watford è un punto d’arrivo o di ripartenza, non lo so. Non mi pongo il problema. Quando ero alla Samp, pensavo solo a far bene in quella società, così come prima col Livorno, la Reggina e dopo col Napoli e l’Inter”.
Perché ha scelto proprio Watford?
“Per almeno cinque ragioni. La prima: con Pozzo avevo avuto tre o quattro contatti negli anni passati ma per un motivo o l’altro non eravamo mai riusciti a lavorare insieme, è un presidente italiano che ha le mie stesse idee sul calcio. Cercavo un programma condiviso fra tecnico e società e qui l’ho trovato. Posso dirle che proprio dalla Premier League avevo avuto un paio di richieste da club più prestigiosi, ma io volevo il programma, non solo la panchina, volevo lavorare come piace a me. La seconda: in Italia non avevo più nulla da dimostrare a me stesso. La terza: come conseguenza avevo bisogno di trovare nuovi stimoli. La quarta: quando in Champions League ho incontrato il Chelsea e il Manchester City, sono rimasto affascinato, anzi, folgorato, dall’ambiente degli stadi inglesi, dal clima che si vive prima e durante la gara. A ogni partita del Watford mi sembra di giocare in Champions per la scarica di adrenalina. La quinta: oggi la Premier League è il campionato più importante al mondo, quello con maggiore visibilità, e se fai bene qui puoi andare ovunque”.
Per quello che dice, lei non vede Watford come un passo indietro nella sua carriera.
“E infatti non lo è. Ho già detto che il calcio inglese è il top del pianeta e qui ci sono grandi allenatori con cui mi posso confrontare. Da un punto di vista calcistico, questa è una situazione simile a quella di Napoli. Io sono arrivato nel 2009, il Napoli era tornato in Serie A nel 2007, dovevamo ricostruire e siamo cresciuti insieme, la squadra ed io. Dovevamo iniziare un ciclo, come qui a Watford. Per questo ho firmato un contratto triennale. A Napoli, i risultati più importanti sono arrivati dopo la prima stagione. Qui, per il momento, sta andando tutto bene: nella sua storia, il Watford non aveva mai avuto una partenza così lanciata”.
La Juve è più avanti delle altre?
“Il passato recente è chiaro, ha vinto gli ultimi 5 campionati, quindi è più avanti. E in estate ha investito ancora, acquistando uno dei più forti centravanti del mondo. Poi, si sa, il calcio riserva sempre delle sorprese”.
Che in Italia possono essere Roma o Napoli.
“Sono due belle squadre, giocano bene, anche se confesso che non vedo molte partite della Serie A. Sono concentrato sulla Premier”.
Dov’è il difetto col Watford finora?
“Dopo una partita fatta bene, ci rilassiamo e siamo irriconoscibili rispetto alla gara precedente. Ma questo fa parte del percorso di crescita”.
Accadeva anche nel suo primo Napoli.
“E’ vero, ma nessuno ricorda che i miei giocatori, in quel Napoli, erano ragazzi. Il percorso di crescita fu costante, una vera e propria escalation. Grazie al lavoro svolto in quel quadriennio, partendo dalla bassa classifica e arrivando al secondo posto e a una doppia qualificazione in Champions, da qualche anno il Napoli ha un forte appeal anche per giocatori celebrati e consolidati. Quando io ereditai la squadra, Hamsik aveva 22 anni ed un’esperienza limitata, così come Lavezzi che ne aveva 24 e Cavani, preso dal Palermo, ne aveva 23. Erano giovani con grandi potenzialità: in quella nostra cavalcata, li abbiamo aiutati a diventare campioni”.
Lei adesso ha quattro ex giocatori della Serie A in squadra, tre suoi ex allievi: Zuniga, Behrami e Britos, oltre a Pereyra.
“E’ capitato, non è stata una scelta voluta. I quattro stanno andando tutti bene, compreso Zuniga che nelle ultime stagioni ha giocato poco per gli infortuni. Behrami è il metodista che mi serviva per dare equilibrio alla squadra. Pereyra è il giocatore che inseguivo da tempo, oltre che sul piano tenico è utile su quello tattico perché con lui posso passare dal 3-4-3 al 3-5-2 senza problemi”.